Tornano i live di Border Nights per la presentazione del libro "I figli di Lucifero" di Enrica Perucchietti e Paolo Battistel, con la partecipazione di Gianfranco Carpeoro
Appuntamento OGGI alle ore 17 presso l'Art Design Box, Via Achille Grandi 50, 20017 Rho (Milano). Segue Show cooking. Gradita la prenotazione chiamando i numeri: 02-93.90.24.82 - 366/89.72.904 - 348/55.38.394. L'incontro sarà trasmesso in diretta su questo blog (www.bordernights.it) APPARIRA' il player in prossimità dell'evento in questo spazio.
La storia parla di creature nate con un marchio d’infamia incancellabile: una stirpe di esseri umani accusati da sempre d’essere il frutto dell’unione tra uomini e demoni: i figli di Lucifero...
Lungo i Pirenei ha abitato un misterioso gruppo di persone colpito per secoli da terribili persecuzioni. Sono conosciuti come cagòts, ma la loro origine rimane tuttora ignota. Quale mistero nasconde questa «razza maledetta»?
Le fonti medievali ne parlano come di «costruttori», carpentieri, tagliatori di pietre e fabbri. È certo che si tendeva a isolarle e a trattarle come degli «intoccabili», rendendole oggetto di disprezzo e intolleranza. Ma costituirono anche materia di studio per i medici di corte del re Enrico IV di Navarra.
Come segno d’infamia dovevano portare cucita sul petto, o sulla spalla destra, una zampa d’oca dipinta in rosso e in testa un berretto tipico delle confraternite e degli iniziati. I piedi dovevano essere ben avvolti in calzature che ne nascondessero la presunta deformità: si raccontava infatti che avessero gli arti inferiori palmati, una caratteristica che li faceva identificare nella religione basca come i figli delle Lamie.
Lo storico tedesco e ufficiale delle SS, Otto Rahn, era invece certo che fossero gli ultimi catari, e dunque appartenenti alla schiatta ariana dei discendenti di Thule. Nei circoli occulti europei, che influenzarono la genesi dello stesso pensiero nazista, si riprese l’antica leggenda della stirpe maledetta discesa dall'unione di Eva e Lucifero.
Che cosa cercavano i genetisti nazisti nei loro esperimenti sui prigionieri baschi e cagots?
L’élite nazionalsocialista credeva nell'esistenza di una «razza» con un DNA diverso, nascosto proprio nel sangue delle minoranze europee, un codice genetico che porterebbe il marchio indelebile di Lucifero.
Solo chi vive o vede con la Conoscenza Pura del Essere Stessa possa capire la essenza della programma in arrivo. Ma chi non vive o vede sono soli quelli delle 'masse perdute' alla Realtà della Verità di tutto ciò che è intorno ed interno del loro vita umana, come una semplice percezione-mentale... e in più cosa c'è dentro il manichino che riflette in loro specchio sul muro.
RispondiEliminaGregg, ma sei sicuro di quello che dici?
RispondiEliminaSicurissimo :-)
EliminaLa prima domanda Che sensazione dà essere illuminati? L’illuminazione non è un pensiero, né è una sensazione. In realtà, l’illuminazione non è affatto un’esperienza. Allorché tutte le esperienze sono scomparse, e lo specchio della consapevolezza è lasciato privo di qualsiasi contenuto, quando è assolutamente vuoto – nessun oggetto da vedere, nulla a cui pensare, niente da sentire –, allorché tutt’intorno a te non esiste alcun contenuto; nel momento stesso in cui resta il puro testimone... quello è lo stato di illuminazione
RispondiEliminaÈ difficile, è praticamente impossibile descriverlo. Se affermi che ci si sente beati, gli dai un significato sbagliato; infatti la beatitudine è qualcosa di opposto all’infelicità, e l’illuminazione non è contraria ad alcunché
RispondiEliminaNon è neppure silenzio, perché il silenzio ha significato solo quando è presente il suono; senza quel contrasto non esiste alcuna esperienza di silenzio. E non esiste alcun suono, non c’è alcun rumore. Né è l’esperienza dell’uno; infatti, che senso può avere quell’“uno”, quando resta solo un unico testimone? L’uno può avere significato solo se confrontato con l’altro, con il molteplice. Non è luce, perché non è oscurità. Non è dolce, perché non è amaro. Nessuna parola umana è adeguata, nessuna lo può descrivere, poiché l’intero linguaggio dell’uomo si basa sulla dualità... e l’illuminazione è una trascendenza, ogni dualità viene lasciata alle spalle. Ecco perché il Buddha afferma che è shunya. Quando afferma che si tratta di vuoto, di vacuità, shunya, non intende dire che è qualcosa di svuotato; vuole semplicemente dire che è qualcosa vuoto di ogni e qualsiasi contenuto. Per esempio, una stanza può essere definita vuota, se si tolgono tutti i mobili
RispondiEliminase non si lascia all’interno alcuna suppellettile; in quel caso la si definisce vuota. È vuota di tutto ciò che conteneva un tempo, ma è anche piena: colma di vuoto, piena di se stessa. Ma, rispetto a questo suo essere piena, a questa sua pienezza, non si può dire nulla, poiché il linguaggio umano non ha parole per definirla. Per secoli abbiamo cercato di definire quel vuoto Dio, nirvana, moksha, tuttavia tutte le parole, in un modo o nell’altro, hanno fallito. È difficile tradurre qualcosa dalla prosa alla poesia, ancora più difficile è tradurre dalla poesia in prosa, perché la prosa si trova a un livello più basso, la poesia è a un livello più elevato. È difficile tradurre da una lingua in un’altra, anche se le lingue esistono tutte sullo stesso piano; come mai? Poiché le parole hanno sfumature sottili che vengono perse nella traduzione e sono quelle le cose essenziali. Ebbene, è impossibile tradurre qualcosa per la quale non esiste alcuna parola
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